L’ANGOLO DELLA LITURGIA: l’orazione dopo la comunione e i riti di conclusione

Pubblicato giorno 10 dicembre 2016 - Catechesi, Liturgia

Dopo aver mangiato e bevuto il Corpo e Sangue del Signore Crocifisso e Risorto, dopo aver cantato eventualmente un’antifona alla Comunione, la Liturgia prevede un tempo di “sacro silenzio”. Il silenzio dopo la Comunione è il luogo teologico per realizzare la comunione: questa non è il gesto del mangiare e bere: quello è il segno. La comunione è una realtà di vita e il silenzio dopo la comunione, è il luogo dove si realizza teologicamente questa unione vitale con Cristo.
Il Messale scrive riguardo al silenzio: «Si deve osservare, a suo tempo, il sacro silenzio, come parte della celebrazione. La sua natura dipende dal momento in cui ha luogo nelle singole celebrazioni. Così, durante l’atto penitenziale e dopo l’invito alla preghiera, il silenzio aiuta il raccoglimento; dopo la lettura o l’omelia, è un richiamo a meditare brevemente ciò che si è ascoltato; dopo la Comunione, favorisce la preghiera interiore di lode e di supplica. Anche prima della stessa celebrazione è bene osservare il silenzio in chiesa, in sagrestia, nel luogo dove si assumono i paramenti e nei locali annessi, perché tutti possano prepararsi devotamente e nei giusti modi alla sacra celebrazione» (PNMR 45).
Ricordiamo le parole di San Giovanni Crisostomo: «Hai il Re dell’universo nelle tue mani. Se tu avessi un pezzo d’oro come staresti attento a non farne cadere neanche un frammentino, e hai il Re dell’universo nelle tue mani!». L’orazione dopo la comunione lancia i fedeli nella vita eterna, perché li proietta verso l’ultimo compimento: si chiede sempre che i frutti del Mistero Pasquale celebrato e ricevuto nell’Eucaristia, si rendano presenti nella vita dei fedeli. Potremmo dire che questa preghiera ci fa capire che in realtà la messa non finisce mai, perché i suoi effetti si saldano con la vita di tutti i giorni. Grazie a quanto abbiamo celebrato possiamo sopportare le fatiche e i dolori della vita, le prove e le gioie dell’esistenza, perché abbiamo incontrato Cristo e possiamo credere alla sua presenza costante nei nostri giorni.
«I riti di conclusione comprendono: brevi avvisi, se necessari; il saluto e la benedizione del sacerdote; il congedo del popolo… perché ognuno ritorni alle sue opere di bene lodando e benedicendo Dio; il bacio dell’altare da parte del sacerdote e del diacono … » (PNMR 90).
La celebrazione si conclude con una benedizione che deriva da un retaggio antico. Nell’antichità, i peccatori pubblici avevano una penitenza medicinale: chi era in stato di peccato prima di ricevere l’assoluzione, doveva fare anni di penitenza e questa consisteva anche nell’astenersi dalla comunione per anni. Chi era in peccato non poteva ricevere il Corpo e Sangue del Signore. Teniamo presente che San Basilio prescriveva trent’anni di penitenza per l’aborto o l’adulterio: per tutto quel tempio il peccatore non faceva la comunione. Così a Roma, durante la comunione si formavano due file: la prima fila era composta dai peccatori in stato di penitenza, che venivano dal Papa, si inginocchiavano, e ricevevano la benedizione. Quindi, si formava la fila dei fedeli che erano in stato di grazia e ricevevano la comunione. In occidente la benedizione era anticamente il dono di Grazia suppletivo per chi non poteva ricevere l’Eucaristia in quel momento.
Sappiamo che la Liturgia è conservativa, non butta via niente e ha serbato questa benedizione che suona un po’ assurda: dopo aver ricevuto il Corpo e Sangue di Cristo, non è pensabile dare qualcosa che sia più grande! È importante allora non dare troppa enfasi a questa benedizione (ad esempio, non occorre mettersi in ginocchio, basta chinare leggermente il capo) e aver l’attenzione che le comunicazioni date prima al popolo non superino i venti secondi. Non è possibile che ci sia uno spazio inesistente di silenzio dopo la comunione e una predica infinita prima della benedizione.
Conclude la celebrazione il congedo che invia nella pace. Ora nessun “canto finale” dovrebbe trattenere chi è stato inviato: il messale non lo prevede. Il gesto conclusivo è il bacio all’altare con cui si era aperta la Liturgia: il bacio d’amore eterno fra la sposa e lo Sposo.

Elide Siviero
servizio diocesano per il catecumenato