L’ANGOLO DELLA LITURGIA – la chiesa si fa presente all’evento pasquale

Pubblicato giorno 10 ottobre 2016 - Catechesi, Liturgia

I tre cardini della liturgia eucaristica

La celebrazione eucaristica non è la ripresentazione della cena pasquale, ma è il linguaggio liturgico con il quale la chiesa si rende presente all’evento pasquale, con il memoriale: al centro c’è sempre e solo Cristo morto e risorto, il mistero pasquale della nostra salvezza. Quindi è la memoria dell’evento pasquale, non dell’ultima cena.

La preghiera eucaristica poggia su tre gangli fondamentali: il racconto dell’istituzione, l’epiclesi, l’anamnesi.

Essa viene aperta con il dialogo del Prefazio: «Il Signore sia con voi», «E con il tuo Spirito». «In alto i vostri cuori», «Sono rivolti al Signore», che è un dialogo comunionale, una relazione fra colui che presiede l’eucaristia e l’assemblea; ha lo scopo di mettere in atto la dinamica della preghiera eucaristica, che è simile a una freccia lanciata in alto, che porta verso il cielo tutta l’assemblea. In questo dialogo risiede già lo spirito della preghiera eucaristica. È l’apertura che dà il tema della sinfonia. Come i grandi musicisti annunciano il tema all’inizio, nell’ouverture, e poi lo sviluppano nel prosieguo dell’opera, così la liturgia eucaristica si apre con questa ouverture.

Se la liturgia della Parola è una sorta di circolarità attorno al sepolcro vuoto di Cristo (rappresentato dall’ambone), dove non c’è lezzo di cadavere, ma profumo di vita, la liturgia eucaristica, invece, ha una dinamica completamente diversa: potremmo chiamarla anaforica, cioè elevante, “che porta su…”. Per mezzo del dialogo e del Prefazio noi siamo presi e portati davanti al trono di Dio, della sua santità, e lì davanti vediamo l’invisibile, che è Dio, e lo vediamo guardando il volto del figlio suo Gesù Cristo. E di fronte a questo mistero, con la chiesa del cielo, con gli angeli e i beati, cantiamo la santità di Dio.

Segue il racconto dell’istituzione in cui vediamo che Gesù assume un gesto della tradizionale liturgia domestica di Israele, spezzare il pane e versare il vino pronunziando una berakah (benedizione) su di essi, e lo trasfigura. Questa berakah sul pane e sul vino, d’ora in poi, diventa zikkaron, memoriale, del suo corpo offerto: noi non mangiamo semplicemente il corpo di Gesù (con l’infantile conseguenza di «Gesù viene nel mio cuoricino»), ma mangiamo il corpo di Cristo nell’atto supremo della sua donazione.

Gesù Cristo chiede: «Questo, d’ora in poi, fatelo (ed è un imperativo) come zikkaron di me, come mio memoriale. Esso non sarà più il rito con cui aprite e chiudete il pasto ogni giorno, ma diventa il mio memoriale. Attraverso questo rito io sarò presente in voi, in mezzo a voi, con il mio corpo offerto, con il mio sangue versato, attraverso questo simbolo del pane e del vino». Tutto questo si realizza per noi grazie all’epiclesi, cioè all’invocazione dello Spirito Santo.

L’eucaristia è l’anticipazione sacramentale, nel segno del mangiare e del bere, nel segno del convito, dell’evento vissuto poi esistenzialmente con la croce, la morte, la sepoltura, la risurrezione di Cristo. Ed è quella croce, morte, sepoltura e risurrezione, visti come evento unico, che noi mangiamo e beviamo. L’eucaristia è la Pasqua del Signore. Altrimenti essa diventa una sorta di santino – «Gesù nel cuoricino, per essere buoni bambini» – che riduce a piccola devozione il mistero grande della nostra fede.

L’anamnesi, termine greco che significa ricordo, assume nell’uso liturgico il senso tecnico di rievocazione dei grandi momenti della Pasqua di Cristo: «Annunziamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua risurrezione, finché tu venga!». Acclamando questo, noi diciamo che nell’eucaristia mangiamo e beviamo la potenza trinitaria dell’amore, lacerato sull’altare della croce, e gloriosamente vincitore nella sua risurrezione.

Elide Siviero