L’ANGOLO DELLA LITURGIA – il Gloria e la colletta

Pubblicato giorno 1 ottobre 2016 - Catechesi, Liturgia

IL GLORIA E LA COLLETTA: DAL CANTO AL SACRO SILENZIO

I riti introduttivi terminano con il canto del Gloria e l’orazione colletta.
«Il Gloria è un inno antichissimo e venerabile con il quale la Chiesa, radunata nello Spirito Santo, glorifica e supplica Dio Padre e l’Agnello. Il testo di questo inno non può essere sostituito con un altro» precisano le norme del Messale Romano (PNMR 53). Lo si canta nelle domeniche fuori del tempo di Avvento e Quaresima; e inoltre nelle solennità e feste, e in celebrazioni di particolare solennità. Questo è un canto fra i più antichi di tutta la Liturgia e nasce come inno per la Liturgia delle ore. Entra nella Liturgia eucaristica perché riecheggia il canto degli angeli narrato dal Vangelo di Luca per la nascita del Salvatore (cfr Lc 2,14). È un canto di lode, non una riflessione teologica. È un inno trinitario che loda il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Non ha altri grandi valori se non quello di rendere più solenne, festosa, gioiosa la Liturgia. Proprio perché nasce come inno, la sua natura richiede il canto: al canto degli angeli si unisce il canto della Chiesa. Privato della musica e del canto, il Gloria perde il suo significato. Infatti, questo canto non accompagna un rito, ma è rito a se stante: è un momento di lode.
La colletta conclude i Riti introduttivi che, abbiamo visto, servono per condurci da una situazione ad un’altra, per generarci come Chiesa che celebra il suo Signore.
La conclusione è affidata ad un momento di sacro silenzio. Ricordiamo che solo alla parola silenzio viene dato questo aggettivo: è solo il silenzio che è sacro. In una epoca verbosa come la nostra, è importante sottolineare questo aspetto.
Il Messale prescrive: «Il sacerdote invita il popolo a pregare e tutti insieme con lui stanno per qualche momento in silenzio, per prendere coscienza di essere alla presenza di Dio e poter formulare nel cuore le proprie intenzioni di preghiera» (PNMR 54).
È questo il momento vero della colletta: non soltanto quando il sacerdote pronuncia le parole presidenziali per cui: «Il popolo, unendosi alla preghiera, fa propria l’orazione con l’acclamazione Amen», ma quando tutti insieme veniamo raccolti dal silenzio della preghiera. Infatti il termine Colletta deriva dal verbo colligere, che vuol dire raccogliere, quindi raccogliere la preghiera. In quel momento di silenzio avviene la raccolta della preghiera. Quindi la Colletta si realizza in quel silenzio dell’assemblea. Paolo dice che: «Non sappiamo che cosa sia conveniente domandare» (Rom 8,26). In quel silenzio non chiediamo nulla, non diciamo nulla: sappiamo soltanto che il nostro spirito geme e grida: «Abbà-Padre!».
Questo deve avvenire realmente e ritualmente. La Chiesa ci dona il silenzio nella Liturgia perché questo avvenga. Il presbitero dice: «Preghiamo» e deve esserci silenzio, un vero e palpabile silenzio, che scuota i presenti; dove anche i bambini, che sono sempre agitati, si placano perché percepiscono qualcosa di importante, di grande e sconvolgente. Tutto tace. La partecipazione attiva dei bambini avviene facendo loro percepire in modo pre-razionale l’esperienza della preghiera della Chiesa.
San Giovanni Crisostomo, commentando la Colletta, dice: «… e si fece un grande silenzio».
È un silenzio che riusciamo ad avere qualche volta al racconto dell’Istituzione, ma che raramente troviamo in questo punto così importante dell’inizio generante della Liturgia.
Dopo il movimento, il passaggio, il canto della lode, veniamo generati dal sacro silenzio: l’orazione colletta raccoglie nel mistero che celebriamo tutti i sussulti della nostra anima e della nostra vita.

Elide Siviero
Servizio Diocesano per il catecumenato

Articolo tratto dalla Difesa de Popolo